Help: un programma di diplomazia internazionale per salvare il mondo dalla plastica

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente articolo della nostra Socia Katia Mammola.


Help: un programma di diplomazia internazionale per salvare il mondo dalla plastica.

Correva l’anno 1870: i fratelli Hyatt brevettavano la formula della celluloide, un materiale ben più economico dell’avorio, da utilizzare nella produzione delle palle da biliardo ed entusiasticamente accolto dai dentisti per la realizzazione delle impronte dentarie. Infiammabile nitrato di cellulosa, la celluloide veniva, all’alba del nuovo secolo, tramutata in bakelite, una resina ignifuga plasmabile in stampi. Da qui l’inarrestabile sviluppo dei materiali plastici: dal PVC al cellophane quindi alle fibre sintetiche degli anni ’50,  nylon e poliestere, fino al consumo di massa degli anni ’60  per giungere, nei decenni successivi, con la grande crescita tecnologica,  al tumultuoso affermarsi degli insostituibili tecnopolimeri.

Fino ad oggi. Artefice del proprio progresso, protagonista della “rivoluzione della plastica”, oggi l’umanità è chiamata a rispondere del diabolico patto faustiano con la conoscenza insofferente ai limiti della coscienza. Siamo di pieno diritto nell’antropocene, la prima era geologica in cui le attività umane modificano significativamente l’equilibrio del pianeta: è non è affatto vero che il sistema riconosca un intrinseco, autolimitante meccanismo di controllo atto a prevenire il ‘collasso-fallimento’.

La Terra diviene, in breve, “Terra desolata”, Wasteland. Così l’artista Cristina Finucci, evocando Thomas Eliot, ha definito le sue installazioni in grado di trasformare la plastica in arte. E consapevolezza.

Wasteland è, in realtà, un geniale progetto transmediale concepito nel 2012, sostenuto dall’UNESCO e dal Ministero dell’Ambiente italiano, il cui obiettivo “è quello di comunicare l’esistenza di ammassi di plastica dispersi in mare, chiamati Garbage Patch, uno dei più importanti fenomeni di inquinamento ambientale fino ad oggi negletto proprio a causa della mancanza di una sua identificazione iconica”.

Maria Cristina Finucci architetto per formazione, artista per vocazione, attivista in lotta per la sostenibilità del pianeta, ha fondato, con  intuito brillante,  uno stato federale simbolico grande quasi quanto la Russia, costituito da sei isole oceaniche (punti di raccolta naturali definiti vortici maggiori: uno nell’Oceano Indiano, uno nell’Artico, due nell’Atlantico e due nel Pacifico) la cui superficie ammonta a sedici milioni di chilometri quadrati: un immenso arcipelago, terrificante testimonianza della capacità distruttiva delle azioni antropiche. La nazione ha una capitale, una bandiera -azzurra come il mare e “ferita” da vortici rossi emblema dei cumuli di rifiuti- un Ministro dell’Ambiente ed un Presidente, la Finucci. E’ nato, con una solenne cerimonia presso la sede di Parigi dell’UNESCO, il Garbage Patch State tanto minacciosamente vero quanto ingannevolmente invisibile: presente nella moderna cartografia degli oceani, non è percepibile poiché i detriti sono per la maggior parte non discernibili ad occhio nudo. Infatti, le plastiche, che le correnti trascinano dalle coste verso il cuore degli oceani, subiscono, per effetto della fotodegradazione, un processo di scomposizione che le riduce in trasparenti frammenti microscopici che si confondono con il plancton e con i bagliori dell’acqua. Si tratta della “zuppa di plastica”, un colorato miscuglio non biodegradabile, tossico ed in grado di catalizzare gli agenti chimici dispersi nelle acque non ultimi gli ormoni che da varie fonti (trattamenti farmacologici, utilizzo in agricoltura ed in zootecnia) vengono sversati in mare. E non basta: il mantello di plastica funge da filtro per la radiazione solare impedendo il processo di fotosintesi delle alghe che forniscono ossigeno agli oceani ed alterando il livello di CO₂ in atmosfera.

Gli oceani contengono il 97 per cento dell’acqua del pianeta e, in virtù dei meccanismi naturali di evaporazione, contribuiscono all’86 per cento dell’acqua piovana, quella che serve poi a formare le nostre riserve idriche sulla terraferma, a raffreddare il pianeta, e regolare la temperatura dell’aria. Da qui la stretta relazione tra protezione del mare e degli oceani, risorse idriche, lotta ai cambiamenti climatici ed un arcipelago di plastica.

Una terra di nessuno, un immane disastro sostanzialmente sconosciuto, un problema  enorme ma invisibile e dunque difficile da comunicare perché privo di immagine. Sensibilizzare il pubblico, sollecitare l‘interesse delle istituzioni, attirare i canali di informazione,  suscitare consapevolezza e presa di coscienza del problema, presupposto indispensabile per contrastare un fenomeno che non ha altra soluzione se non quella di limitare drasticamente l’immissione in ambiente dei materiali plastici: questo il fulcro dell’impresa di Cristina Finucci. E se non vi è modo di ridurre gli sterminati depositi di plastica (il solo vortice del Pacifico settentrionale contiene sei chili di plastica per ogni chilo di plancton) l’unica possibilità di agire risiede nella operosità individuale, nella capacità di  di modificare gli stili di vita sostituendo rapidamente e radicalmente i prodotti di plastica, di privilegiare meccanismi di produzione virtuosi, di informare, coinvolgere, narrare incessantemente. Il Garbage Patch State, lo Stato dell’immondizia (che ci riporta a Leonia, la città sommersa dai rifiuti di Calvino, metafora di una società consumista) al contempo manifesto-denuncia ed opera d’arte, conferma come -da sempre- la creazione artistica costituisca strumento prezioso per interrogarsi e come l’arte sia il mezzo che può “dare forma e peso ai processi più invisibili, agendo sull’immaginario collettivo” attraverso strategie complesse e pervasive, che si avvalgono della potenza delle immagini affinché tutti modifichino i propri comportamenti. Perché, in realtà, la plastica, riciclabile per il 50% può essere una risorsa, insegna la Finucci: ci sono importanti centri di raccolta dei tappi di plastica, milioni di tappi, presso l’università di Roma Tre o di Palermo. Questi tappi vengono posti in apposite reti assemblate laboriosamente con un proficuo impegno collettivo.

Nella Giornata mondiale dell’Oceano, che si svolge ogni anno l’8 giugno, con l’obiettivo di promuovere uno sviluppo sostenibile e focalizzare l’interesse pubblico per la protezione dell’oceano e la gestione delle sue risorse, Cristina Finucci ha celebrato alla FAO, il decimo anniversario della Fondazione del suo Stato: anche AMUSE, da sempre vicina all’artista e partecipe delle sue iniziative, ha assistito al Convegno cui hanno partecipato Autorità nazionali ed internazionali. “Un impegno che include anche lo sradicamento della povertà, l’attenzione agli ultimi, l’accesso equo, per tutti, alle risorse del Pianeta. Ho pensato che la plastica fosse il fattore di un fenomeno ben più ampio e complesso di degrado ambientale in cui tutto è collegato perché è connesso ai cambiamenti climatici, alla desertificazione che porta fame, povertà, conflitti ed infine migrazioni”, secondo la Finucci. In questa prospettiva olistica si innestano l’enciclica “Laudato sii” di Papa Francesco ed il suo invito alla “conversione ecologica dell’umanità”, cornice ideale a quella ‘via finale comune’  che è la “cura del Creato”. Il grido d’aiuto del Pianeta che soffre, la grande scritta luminosa  HELP, un messaggio per l’uomo del futuro, è l’ultima creazione di Cristina Finucci proposta in Sicilia, all’isola di Mozia, accanto alle rovine del sito archeologico e poi ai Fori imperiali di Roma: un simulacro di città di 3.600 metri quadri,  enormi gabbioni di tappi di plastica in forme assimilabili a quelle degli antichi reperti. Di notte si illuminano ed il grido d’aiuto sembra sgorgare, rutilante come lava infuocata , dalla ferita inferta alla Terra.

Consapevolezza, circolarità, conservazione: questa la formula, che dovrebbe garantire la rigenerazione ecologica. I cambiamenti dell’economia globale tra istruzione, ricerca, nuove tecnologie e sostenibilità saranno le sfide del mondo avvenire a garanzia di “un Futuro del Futuro”. E’ stato detto di Cristina Finucci che, con straordinaria preveggenza, oltre venti anni fa, ha intravisto le dimensioni del problema, il più impellente per la salvaguardia degli ecosistemi:  è scesa in campo, con la grazia di un poeta e la determinazione di un condottiero, per trasformare uno “Stato immaginario distopico in un luogo di speranza”.

giugno 2023

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