Orto Luiss: benvenuto a un VIP – Very, Important, “Peperoncino”

Riceviamo dalla nostra socia Katia Mammola e volentieri pubblichiamo.

Dieci anni fa l’Università Luiss “Guido Carli” inaugurava, nell’ambito di un progetto formativo di ampio respiro,  il suo “Orto Giardino”. Ispirandosi ai campus americani quali Harvard e Chicago,  il Community Garden, nato dalla riqualificazione di un’area verde in viale Romania, si proponeva come spazio “non solo fisico ma anche simbolico” di accoglimento e aggregazione attorno ai valori condivisi di  rispetto per l’ambiente, sostenibilità, cura e supporto alle fragilità.

Così, per la prima volta in Italia, teoria e pratica trovavano, nell’Orto Condiviso, univoca espressione di insegnamenti quali green economy, sviluppo sostenibile ed economia comportamentale. Lavorare la terra, zappare, seminare, prendersi cura di ciò che è vivo e sopravvive e darà frutti esclusivamente in virtù dell’attenzione e del senso di responsabilità che gli sono prodigati, è stata ed è la magnifica metafora di un’idea di governance che gli studenti sperimentano in prima persona, all’insegna di un principio di innovazione sociale che è aspirazione ed al contempo necessità dei giovani. Oggi  l’Orto Giardino, esperimento di successo, incrementa progressivamente le collaborazioni con la comunità esterna, includendo le scuole del territorio, ospitando i disabili, esplicando attività di baby-sitting gratuito e condividendo, attraverso un “Percorso di Eduzione Ambientale”, i temi di stagionalità, agricoltura biologica, sprechi alimentari, biodiversità e orti sociali. 

AMUSE APS partecipa da diversi anni con i suoi volontari alle diverse attività dell’Orto Giardino, incentivando, nelle scuole e presso le Istituzioni del II municipio, attività ed insegnamenti ispirati alla sostenibilità ambientale, sociale e culturale. Anche quest’anno numerosi soci hanno aderito alla campagna di adesione all’Orto promossa dalla Luiss e chiusasi il 31 gennaio.

E nelle eleganti aiuole assolate dell’ Orto Condiviso, proprio AMUSE ha incontrato un ospite illustre, un “apolide” dalla storia incredibile….. il peperoncino.

Si tratta di un VIP, Very Important Peperoncino: è così che Francesco Spanò ed altri illustri Autori hanno titolato il loro bellissimo libro, pubblicato da Gangemi Editore e dedicato interamente al peperoncino, protagonista della tavola e della scienza, che “crea dipendenza che fa bene alla salute”.

Nacque, dicono i più, nei remoti altopiani della Bolivia centrale. Figlio del vento e del sole, visitò le antiche civiltà dei Maya e degli  Inca e suo fu il privilegio di calpestare i ponti avventurosi della Nina, della Pinta e della Santa Maria. Dal Nuovo Mondo agli splendori delle corti d’Europa, tributario, attraverso i sentieri della storia, di contestati onori e di popolarità immensa. In sé raccoglie l’epopea stessa dell’uomo: testimonianza del  paleolitico – attraverso i graffiti impressi nella roccia – misteri e tradizioni si avvicendano, nel corso dei millenni, nella varietà incantata del suo manifestarsi che arriva a contendersi sconfinati domini da un capo all’altro della terra.

Esercitare il potere senza prevaricazione; esaltare le potenzialità recondite tramutando in qualità la mediocrità; suo quel governo illuminato che sa cogliere attenzione pur rimanendo in sordina per esitare, alla fine, in consensi senza remore. I sentimenti che suscita non conoscono la penombra rassicurante prediletta dai pavidi e dagli ipocriti: è amore senza condizioni oppure odio senza rimedio.

Chi lo avvicina può sfuggirlo o ne è prigioniero per sempre: il desiderio insaziabile –quale canto delle sirene o magia di lucerne- condizionerà la modalità primigenia di sopravvivenza. Perché il cibo è bisogno ineludibile ed il peperoncino – ebbene è di lui che stiamo parlando – è fiamma che accende questo bisogno, droga che placa i morsi della fame, tentazione e dipendenza, compagno della buona tavola ed arma d’offesa vero, strumento di tortura e mortificazione alla mercé della più perversa inventiva umana. Imprescindibile ed insopprimibile quanto aleatorio ed effimero, vetusto e mutevole, tutti lo conoscono e nulla se ne conosce in verità.

Tante buone qualità

Dal mar dei Caraibi, dunque, all’Asia ed al Messico – in quella penisola dello Yucatan che vanta le qualità di peperoncino più piccante del mondo, l’esotico Habanero– alle raffinatezze alchemiche dell’India, il frutto annovera proprietà medicamentose e qualità nutritive. Ed arcani poteri afrodisiaci.

Protagonista della medicina popolare e delle pratiche degli antichi saggi, è oggi oggetto d’attenzione da parte di scienziati e neurologi per i suoi -largamente dimostrati- benefici effetti nella cura del dolore in numerose eventualità cliniche. Cosicché, a recitare un copione di estremo interesse sul palcoscenico della ricerca medica e delle sue immediate applicazioni terapeutiche, nel corso degli ultimi decenni, è stata proprio la capsaicina, il principio attivo contenuto nel peperoncino. Oggetto inedito di studi metodologicamente impeccabili, questa neurotossina è stata protagonista di una accurata analisi validata da pubblicazioni sulle più prestigiose riviste.

Già venti anni fa il British Medical Journal pubblicava il lavoro dei ricercatori dell’università di Oxford attestante l’efficacia e la sicurezza d’uso della capsaicina proprio nei soggetti afflitti da dolore cronico associato a patologie muscolo-scheletriche. A questo studio condotto peraltro su un elevato numero di pazienti, ne sono seguiti innumerevoli altri accolti su riviste prestigiose: da Nature -che al peperoncino ha dedicato una copertina- agli onori della cronaca su de Lancet, l’azione della capsaicina sui nocicettori cutanei è stata definitivamente chiarita: sicché, mentre in un primo tempo la neurotossina aumenta la percezione del dolore, successivamente la sensibilità si riduce sino alla desensibilizzazione dell’area interessata. Il nostro affascinante peperoncino, insomma, ha costituito un notevole ausilio in malattie difficili da trattare, quali le neuropatie diabetiche, l’artrite reumatoide e le osteoartriti o persino il dolore dopo la mastectomia.

Scienze e leggenda dunque si inseguono, si intersecano incessantemente nel dipanarsi di una favola millenaria che si tramuta discretamente in resoconto euristico consono al nostro tempo prosaico. Ed è questa incredibile sostanza chimica dal nome sgradevole, rigorosamente inodore e insapore, la cui quantità è controllata da un solo gene, a determinare il gusto aggressivo del peperoncino, così variabile da un tipo all’altro.

Dentro il magnifico frutto

La sorgente di questa euforia si trova all’interno del magnifico frutto variopinto ed è concentrata all’estremità rivolta verso il gambo. Il recettore specifico per la capsaicina è ben noto, oltre al contenuto in vitamine C ed E, al pari della sue potenziali applicazioni in immunologia e sulle malattie emergenti. E’ divenuto un cult in disquisizioni, tecniche e non, sul gusto e le sue diverse proprietà che cambiano a seconda dell’estrazione e della conservazione. Ne è succube oltre il 25 % della popolazione mondiale e sono in molti ad ammettere una sensazione di benessere e di eccitazione legate alla sua assunzione. I fautori del peperoncino, accomunati da un asservimento abietto quanto consapevole, lo considerano oggetto sacro ed i fisiologi parlano di dipendenza al pari di quella evocata dalla cocaina o dalla nicotina. Una dipendenza che fa bene:  aiuta il cuore, scioglie il colesterolo e porta più sangue ai tessuti. Ed ancora: è fondamentale ausilio dietetico che aumenta il consumo di calorie sino al 15 % con ovvie proprietà dimagranti, disinfetta l’intestino, aiuta a digerire, contrasta l’invecchiamento – irresistibile attrazione per ogni essere ragionevole o irragionevole – ma, soprattutto, viene considerato il viagra del povero (o, se vogliamo , dei sostenitori delle pratiche naturali) sulla scorta scientifica di un aumentato apporto circolatorio all’apparato urogenitale. Il che, vista la materia del contendere, esclude d’ufficio -come irrilevante o per contro utilissima- qualunque ipotesi di effetto placebo.

L’erotico e il piccante

Tuttavia, a sostegno di questa impareggiabile virtù, vi è tutta la storiografia dell’India medievale, dal 600 al 1526, che definisce il trait d’union basilare tra l’erotismo e il piccante, fornendo dettagliate istruzioni circa la modulazione di prestazioni e l’efficacia dei risultati. Ai giovani bramini, cui toccava custodire gelosamente la purezza dell’anima e del corpo, il consumo dei rossi peperoncini era severamente interdetto. I turchi, ai quali si deve alla fine il merito di avere introdotto il peperoncino in Europa, creavano pozioni d’amore a base di spezie, vino e peperoncino tritato. Nel diciannovesimo secolo, l’esploratore inglese David Livingstone, medico di vasta esperienza, riferiva nei diari dei suoi viaggi “di donne africane che facevano il bagno nell’acqua in cui erano stati sciolti i succhi di peperoncino al fine di aumentare il loro potere di seduzione”. E che dire della proibizione, datata appena qualche decennio or sono, nelle carceri peruviane, di arricchire il cibo destinato ai prigionieri con la droga profumata, incriminata e condannata quale causa principale dei delitti a sfondo sessuale verificatisi all’interno dei penitenziari? Malaria, influenza e qualsivoglia malattia respiratoria hanno annoverato, anche nel nostro vecchio continente, tra i più efficaci rimedi, il peperoncino del quale Albert Szent-Gyorgyi stigmatizzò definitivamente la sovranità e che, nel 1937, arrivò a procurare allo scienziato ungherese il premio Nobel. Conferitogli per avere individuato la candida sostanza cristallina che abbonda nei peperoni e che è, per l’appunto, la vitamina C: si racconta che lo scienziato avesse particolarmente apprezzato la pietanza ammannitagli dalla moglie e tale fu l’entusiasmo suscitato dalla scoperta e dalle sue modalità che il Time, all’epoca, battezzò il riconoscimento svedese “Premio paprika” dal nome che gli ungheresi danno al peperoncino. Spetta a loro, d’altronde, l’onore di avere riservato all’esotica pianta l’accoglienza più calorosa e ed i più amorevoli trattamenti: lo scrittore indiano Amal Naj, memoria storica del peperoncino, sostiene che fu una splendida giovane ungherese “ospite” nell’harem del pascià di Bud, tornata alla sua gente, ad insegnare loro la coltivazione del peperoncino che trovò progressivamente in quella terra “l’alternanza ritmica di  caldo, di pioggia e di vento” in grado di farne sbocciare la qualità eccelsa ed irriproducibile, invidiata in tutto il pianeta e merce di scambio preziosa per l’economia ungherese. Il Peperoncino, Signore del mondo, sintesi incomparabile della cultura orientale e di quella occidentale, implicato nel controllo delle emozioni e del sentimento, protagonista di quell’inestricabile, magnifico rapporto tra i piaceri della tavola e i godimenti erotici è, come la gran parte delle cose che contano, assolutamente insospettabile. Inatteso come il sapore della vita.

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